Cinema

L'URLO DELLA BEAT GENERATION AL CINEMA

L'URLO DELLA BEAT GENERATION AL CINEMA

Nel 1957, a New York, il testo di Howl, dedicato dal profeta della beat generation, Allen Ginsberg, all’amico Carl Solomon, ricoverato in manicomio e accusato di oscenità, diventa corpo del reato, protagonista di uno storico processo che mette una davanti all’altra le due anime dell’America, la voglia di rompere tutto e l’ansia di preservare le regole.

Nel film, diretto dai documentaristi Rob Epstein e Jeffrey Friedman, in gara all’ultima Berlinale (il 27 agosto in arrivo sugli schermi italiani distribuito da Fandango), si intrecciano tre piani di racconto. Il primo si snoda nell’aula del tribunale dove l’avvocato della difesa, Jake Ehrlich (John Hamm) e il pubblico ministero, Ralph Mcintosh (David Strathairn) si danno battaglia a colpi di testimoni celebri, intellettuali, professori, studiosi, impegnati ad analizzare l’opera arrivando a conclusioni opposte. Si parla di «test of time», prova del tempo, Tra i banchi siede l’imputato Lawrence Ferlinghetti, proprietario della casa editrice City Lights, accusato di aver pubblicato materiale osceno, mentre al giudice Clayton Horn (Bob Balaban) tocca il compito di pronunciare, nel finale, lo stupefacente verdetto di non colpevolezza. L’intervista al protagonista Allen Ginsberg (James Franco) scorre tra ricordi in bianco e nero che rievocano foto celebri, come quella che lo ritrae con il compagno Peter Orlovsky (Aaron Tveit) e sedute alla macchina da scrivere dove la riflessione sugli avvenimenti, dalla battaglia per l’affermazione dei diritti degli omosessuali all’esperienza divorante della droga, ricostruisce il paesaggio dell’epoca.

La poesia irrompe nella pellicola sotto forma di disegni animati. Si vedono i contorni sinistri dei grattacieli di Manhattan, l’immagine ricorrente di un suicidio, corpi divorati dalle fiamme prima di diventare scheletri blu, esplosioni di luce, spirali che sembrano prigioni, auto in fila sull’orlo di un baratro. La musica, soprattutto jazz, con note di Gershwin , accompagna fughe angosciose e discese negli abissi, come quella per la madre del poeta, Naomi, morta in manicomio.
Nel celebre incipit di Howl («Ho visto le menti migliori della mia generazione distrutte da pazzia...») c’è la storia della nascita della controcultura beat, l’anelito alla libertà d’espressione, ma anche la minaccia destabilizzante che incombe sulla società. Una sensazione estremamente contemporanea.  

Fonte: La Stampa